Lo stress

Ott 18, 2010 | Parliamo di yoga

lo stress articolo studio equilibriHo scritto queste considerazioni avvalendomi di alcuni studi effettuati tempo fa per cercare di capire insieme a voi il significato del termine “stress” e la sua applicazione nel mio lavoro. Non pretendo di spiegare nulla che non sia già stato spiegato, ma solo di poter fare, insieme a chi leggerà questo scritto, una riflessione su questo termine tanto usato e spesso sconosciuto nel suo significato. Il Dr. Hans Seyle diceva  “senza lo stress non ci sarebbe la vita” e senza di esso verrebbero a mancare gli impulsi indispensabili per rimanere in vita, per resistere alle aggressioni degli agenti patogeni e per adattarci nel modo giusto agli eventi esterni in continuo mutamento.

Quello a cui dobbiamo fare attenzione è solo l’eccesso di “stress”

Quando diciamo “mi sento stressato” solitamente intendiamo esprimere una situazione di disagio psicofisico. Infatti il termine stress, originariamente utilizzato dall’ingegneria dove lo si associa all’azione di forze fisiche su strutture meccaniche, è entrato nel linguaggio corrente e viene comunemente associato a sensazioni di affaticamento, di ansia e di tensione muscolare per sovraccarico di stimoli e, a mio parere, troppo spesso come risposta a situazioni che sono ben lontane dallo “stress”.

Un po’ di storia
Agli inizi degli anni ‘30 e per alcuni anni a seguire, alcune ricerche scientifiche evidenziarono come stimoli di varia natura su cavie abbiano dato delle risposte aspecifiche indipendentemente dal tipo di stimolazione effettuata. Ogni tipo di stimolazione, dopo aver dato luogo ad una risposta aspecifica e automatica, provocava anche una risposta fisiologica specifica. Ad esempio, sottoporre la cavia a temperature molto elevate produceva reazioni fisiologiche nettamente diverse rispetto a quelle ottenute sottoponendola a temperature molto basse. In virtù della aspecificità della reazione il Dr. Hans Selye, coniò il termine “Sindrome Generale di Adattamento” (G.A.S.), poi definita anche “Sindrome da Stress Biologico”, proprio perché tramite essa l’organismo si adattava ed organizzava le difese nei confronti di qualsiasi agente esterno.

Ma sull’essere umano è la stessa cosa?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo comprendere bene il significato dello stress e per questo possiamo riferirci agli studi del Dr. Walter Cannon e alla sua teorizzazione sulla risposta di attacco o di fuga.

Cannon usò per queste reazioni le definizioni:

    •    Di lotta o fuga (fight or fly), quando la situazione è “pericolosa”

    •    Di riposo e digestione (rest and digest), quando la situazione definita “pericolosa” è superata e vi è un rientro alle normali funzioni fisiologiche

Tutte le energie fisiche e psichiche di un essere vivente che si trova di fronte ad un pericolo o ad un evento traumatico vengono reclutate per attaccare o per fuggire; questo provoca un aumento della secrezione di adrenalina, di noradrenalina e di corticosteroidi, consentendo all’individuo di gestire o migliorare la prestazione in maniera ottimale. Uno dei principali corticosteroidi è il cortisolo (definito anche idrocortisone). Si parla spesso di un legame diretto con un alterato stato di stress e un aumentato livello di cortisolo nel sangue. Il cortisolo che fa parte dei corticosteroidi che il nostro corpo crea in situazioni di varia natura, quando aumenta in modo eccessivo può essere causa di patologie alle volte anche molto gravi. Da qui la sua definizione  “Ormone dello Stress” perché la sua produzione aumenta, appunto, in condizioni di stress psico-fisici molto elevate.
Con la sua azione eccessiva quest’ormone tende ad inibire le funzioni corporee non indispensabili nel breve periodo garantendo il massimo sostegno agli organi vitali.
Per questo motivo il cortisolo può:
    •    Indurre un aumento della gittata cardiaca
    •    Aumentare la glicemia
    •    Ridurre le difese immunitarie
    •    Produrre un eccessivo catabolismo muscolare
    •    Diminuire la sintesi di collagene e della matrice ossea, accelerando in questo modo l’insorgere dell’osteoporosi
Le risposte fisiologiche attivate dagli “stressors” (situazioni stressanti) non inducono effetti negativi sulla salute se sono di breve durata. A volte però gli stressors sono continui, determinando una risposta da stress costante. E’ facile intuire che, se questa risposta durerà oltre il limite fisiologico, potrà costituire un fattore importante nello sviluppo di patologie di varia natura, come evidenziato da Selye con la “Sindrome Generale di Adattamento”.
Nelle situazioni minacciose gli stressors, infatti, inducono ad un aumento dell’attività fisica, la lotta o la fuga, e questo è reso possibile dalle risposte del Sistema Nervoso Autonomo Simpatico (SNA) e del Sistema Endocrino(8). In effetti è proprio il SNA che stimola le ghiandole surrenali a produrre adrenalina e noradrenalina, ma anche ormoni steroidei. L’adrenalina e la noradrenalina agiscono sul metabolismo del glucosio mettendo a disposizione le riserve di questo immagazzinate nel tessuto muscolare per produrre l’energia necessaria a sopportare uno sforzo prolungato. Contemporaneamente si ha un aumento dell’irrorazione sanguigna a livello muscolare dovuta ad accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione ed accelerazione del ritmo respiratorio. Dopo un spavento, infatti, ci ritroviamo spesso ad avere un respiro più affannoso ed il cuore che batte in modo più accelerato (la cosiddetta “scarica di adrenalina”). E’ facile intuire che, se questa risposta durerà oltre il limite fisiologico, potrà costituire un fattore importante nello sviluppo di eventuali patologie cardiovascolari.

La noradrenalina viene prodotta anche nel cervello, dove svolge il ruolo di neurotrasmettitore; è accertato che alcuni comportamenti ed alcune risposte fisiologiche causate da stimoli avversivi siano mediate da neuroni che usano la noradrenalina come neurotrasmettitore; questi neuroni, definiti noradrenergici, sembrano essere responsabili dell’aumento della pressione sanguigna a seguito di situazioni stressanti.
In una situazione vissuta come minacciosa, il corpo reagisce rapidamente attraverso tutti i sistemi spiegati finora, così come avrebbe fatto migliaia di anni fa, mobilitando tutte le sue energie. Tuttavia, una aperta risposta di attacco o di fuga oggi non è sempre possibile, anzi spesso non lo è mai e le energie rimangono inespresse, accumulandosi. Nell’evoluzione della specie abbiamo dovuto imparare ad inibire alcune azioni ed emozioni per adeguarci alle richieste esterne. Se da un lato il sistema di inibizione può servire in senso adattivo ad impedire un comportamento non efficace, dall’altro, se prolungato nel tempo, ha come conseguenza la comparsa di una serie di problematiche che spesso mi trovo a dover gestire. Alcune sono di mia competenza (tensioni muscolari, dolori articolari senza una specifica patologia), altre non lo sono (alterazioni psicosomatiche, disturbi dell’emotività ecc). (leggi forma funzione)

Adattamento e stress

Nel corso della nostra vita ci raffrontiamo spesso con situazioni che richiedono un continuo sforzo di adattamento. Alcune di esse sono oggettivamente difficili da gestire, altre sono meno complesse o dolorose. Anche le esperienze desiderabili e positive sono potenziali stressors, poiché costituiscono dei cambiamenti rispetto al normale ritmo di vita e, in quanto tali, comportano un adattamento. Possiamo quindi riconsiderare la definizione stress intendendolo come uno “stato di tensione psicofisica dell’organismo nello sforzo di adattamento ad una nuova situazione”.
Infatti lo stress, di per sé non è una reazione negativa. Questo stato di tensione, entro un certo limite, ci fornisce l’energia necessaria ad affrontare le richieste in modo adeguato ed efficace. Tuttavia, quando la situazione di allerta si protrae nel tempo, lo stress determina un’attivazione psicofisica eccessiva che impone all’organismo sforzi innaturali portandolo al logorio e all’esaurimento.

Le fasi sono essenzialmente tre:
    •    Allarme: l’organismo, trovandosi di fronte ad una situazione nuova, spesso violenta, si attiva fisiologicamente per prepararsi ad affrontarla
    •    Resistenza: l’organismo mobilita le proprie energie per affrontare la situazione stressogena cercando di contrastarla
    •    Esaurimento: l’organismo indebolito e con basse difese generali, diventa più vulnerabile alle malattie.

Distress ed Eustress
“Distress” ed “Eustress” sono forme verbali raffinate del termine “stress” con cui condividono il significato. Più in dettaglio, il termine Distress rappresenta l’aspetto negativo dello stress e viene contrapposto ad Eustress che ne rappresenta l’aspetto positivo, di stimolazione fisiologica.

La condizione di Eustress, (“eu”, in greco, = buono, bello) si instaura quando le pressioni che agiscono su di noi rientrano all’interno di un limite vissuto come tollerabile. In essa il grado ottimale di attivazione psicofisiologica consente la mobilitazione delle risorse dell’individuo migliorandone le capacità di attenzione, concentrazione, percezione, memoria ed apprendimento.

Il Distress (“dis”, in greco, = cattivo, morboso), invece, si sviluppa quando per un periodo più o meno lungo siamo sottoposti a situazioni che superano la nostra capacità fisiologica di farvi fronte. Coinvolgendo la mente ed il corpo esso predispone il soggetto a sentimenti e a comportamenti spesso disadattati sul piano personale e sociale. Il Distress non dipende solo dall’accumularsi degli eventi, ma anche da come li valutiamo e dal peso emotivo che hanno per noi. Essi, infatti, hanno sempre a che fare con un individuo che li riempie di significati personali e che lotta per controllarli e vincerli. Questa mediazione psicologica è fondamentale nell’esperienza di stress: ecco perché quello che è stressante per uno può non esserlo per gli altri.

Dai primi segnali di stress alle malattie psicosomatiche

Oltre ai grandi eventi della vita, agiscono da stressors anche i problemi di tutti i giorni. Ciò significa che le cause di stress possono accumularsi giorno dopo giorno e dar luogo a una serie di campanelli d’allarme e a somatizzazioni. E’ importante porre attenzione ai diversi indicatori dello stress. Quando la tensione raggiunge la soglia critica, la risposta allo stress si manifesta con reazioni fisiologiche, emotive e comportamentali. Per di più sintomi quali stanchezza, dolori al collo e alle spalle, mal di testa, non sono considerati “malattia” e quindi vengono trascurati. Accanto ad essi compaiono segnali emotivi come ansia, irrequietezza ed aggressività. Spesso ci si chiude in se stessi come se l’energia vitale fosse esaurita. Non sempre siamo in grado di riconoscere questi sintomi, troppo intenti a rispettare impegni gravosi ed urgenti, a scapito del nostro ritmo interiore. E’ solo nella fase più avanzata dello stress che i campanelli d’allarme che per lungo tempo hanno infastidito la persona, diventano sintomi di una malattia, quando il continuo stato di tensione e l’azione continuata dei corticosteroidi porta all’abbassamento delle difese immunitarie. Ecco allora che alcuni individui potranno sviluppare una maggiore vulnerabilità ai disturbi coronarici, altri a malattie del sistema respiratorio piuttosto che gastroenterici e così via.

Cosa fare?
A mio parere, la potenzialità espressiva che utilizza come forma di lavoro l’Eustress risulta essere molto più importante e duratura rispetto ad altri approcci. È come inoculare piccole ma continue dosi di stress positivo, al fine di stimolare il nostro sistema al proprio ripristino, ad una propria “auto guarigione” che tutti noi possediamo (stesso meccanismo dei vaccini alla produzione di anticorpi!!! Produrre anticorpi contro lo stress!). Nell’individuo che vive una condizione di stress, la conoscenza di sé e l’auto percezione sono fortemente ridotte e distorte: l’incapacità di esprimere le proprie emozioni, le tensioni accumulate nella struttura muscolare e la difficoltà a lasciar fluire l’energia riducono sempre più la sensibilità e la vitalità del corpo e della mente. Sulla base di quanto abbiamo detto fino ad ora, poiché reagiamo in modo soggettivo alle situazioni stressanti, ognuno di noi può migliorare le relazioni con il proprio ambiente identificando i propri stressors ed agendo direttamente su di essi per evitarli, ridurli o adattarli a sé. Ad esempio, l’individuo può sviluppare limiti e aspettative più realistici, essere assertivo, avere obiettivi, stabilire delle priorità, imparare a gestire il proprio tempo, educarsi all’ascolto di sé, del proprio corpo nella sua globalità, dei ritmi personali e prestare attenzione ai campanelli di allarme. Concedendosi la possibilità della presa di coscienza della non necessità dell’avere tutto sotto controllo. Se la situazione di disagio psicofisico non richiede l’intervento di una vera e propria psicoterapia, si possono apprendere tecniche di rilassamento, come la disciplina dello Yoga, che hanno la finalità di allentare le tensioni muscolari e psichiche attraverso una serie di esercizi specifici. Il primo passo è la consapevolezza, entrare in contatto col proprio corpo e percepirne lo stato di tensione e di contrattura. Se, ad esempio, la lettura corporea sottolinea la tendenza a trattenere il respiro nella parte alta del corpo, ecco allora la ricerca di una respirazione profonda utilizzando il “pranayama yoga”. Se invece il nostro corpo ha nel tempo modificato la sua postura occorre attuare una giusta educazione posturale. Se il nostro corpo risulta essere sotto “tono” a livello muscolare ecco che una giusta attività motoria specifica, cosciente e soprattutto funzionale può portare una stato di rafforzamento globale e sopratutto duraturo. Utilizzare regolarmente tecniche di rilassamento offre non solo la possibilità di un recupero dalle conseguenze prodotte dallo stress, ma costituisce anche un’efficace strategia di prevenzione. Se la persona ne avverte l’esigenza si può proseguire verso l’approfondimento della conoscenza di sé ed intraprendere un vero e proprio percorso psicoterapeutico.

Cosa faccio io?
Cosa faccio io è presto detto: poco! Il più del lavoro lo fa il nostro organismo per ripristinare e gestire gli stress positivi (Eustress) inoculati in modo progressivo. Il lavoro che viene proposto è sempre quello legato al sentire il nostro corpo e ad identificare tutte le spine irritative che sono presenti e che alle volte non sentiamo. “Ricercarle per eliminarle” è la mia proposta. Prima in un modo passivo, avendo cura del bilancio analitico posturale e correggendo ciò che eventualmente può creare perturbazioni oltre misura (Distress). Una volta trovato un giusto equilibrio rispetto a questo inizia la fase attiva, fase in cui si cerca di “inoculare” segnali educativi, verbali e motori, volti sempre allo stesso scopo, cioè a creare un processo di auto stimolo, questa volta cognitivo comportamentale.

Bibliografia:
M. Farnè “Lo stress” (Il mulino Editore 1999)  
S. Ceppellini “Ansia e stress. Riconoscerli, curarli, guarirli” (De Vecchi Editore 1999)
R. Rossi “Gestire lo stress” (De Vecchi Editore 1999)
R.c. Fulford “Il potere terapeutico dell’Energia vitale”  (Corbaccio Editore 1998)

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