Le Asana

Set 8, 2010 | Yoga da leggere

Le Asana di gaetano zanniMolte persone, che iniziano insieme a me un percorso di lavoro Yoga, mi chiedono cosa significhi il termine Asana.

Asana, tradotto dal sanscrito, significa posizione, stato di fermezza. È uno stato dell’essere e, per definizione, ci sono migliaia di Asana che si potrebbero raggiungere.

Questo è il motivo per cui Patanjali, fondatore del Raja Yoga di cui l’Ashtanga Yoga è il cuore, non ha menzionato i dettagli e i nomi di molte Asana.

Patanjali nel suo 46° Yoga Sutra definisce Asana come SthiraSukham, che significa posizione stabile e confortevole. Originariamente sthira (stabilità) sukham (facilità).

Se non si riesce a raggiungere la posizione ideale come descritta nei testi, ma la posizione è stabile e la si può mantenere a lungo, allora è Asana.

Se si riesce a raggiungere la posizione ideale come descritta nei testi, ma non la si può mantenere perché instabile, allora non è Asana.

Questa ricerca verso una maggiore consapevolezza del proprio corpo attraverso le Asana viene definita in Sanscrito Samapatti (corretta acquisizione della verità). Patanjali nel suo 41° Yoga Sutra la descrive paragonandola alla caratteristica che ha un cristallo di riflettere le cose:

“Quando le turbolenze del sistema mentale si acquietano ci si trova in una
condizione di recettività simile a quella del cristallo che riflette le cose”

Nello stato di Samapatti l’ascolto non è verso quello che ci viene insegnato di fare, ma è rivolto verso il sentire quello che facciamo in modo recettivo. Il tutto accompagnato dalla possibilità di darsi tempo, senza intervenire in modo violento, ma arrendendosi a quello che si è in quel preciso momento ed avendo chiaro il concetto che quello è solo il punto di partenza. Ascoltare è alla base del Samapatti.

Questa è la chiave di volta che a mio parere dimostra come lo Yoga e le discipline Orientali che necessitano di un ascolto assoluto del proprio corpo e del proprio limite possano essere interpretate come la reale forma del nostro corpo. Mi spiego meglio. Il nostro corpo vive nel quotidiano, su compensi e deviazioni date da tantissimi aspetti. Ne cito alcuni: la postura lavorativa, quella sportiva, quella emotiva, variazioni che nel corso degli anni possono influire sul nostro corpo, aumento o diminuzione del peso, traumi oggettivi, ecc.

Riuscire, attraverso un Asana, a capire come il nostro corpo sia il risultato di come è stato ‘utilizzato’ fino a quel momento e degli eventi che ha subito è per me un risultato che va ben oltre il realizzare un Asana perfetta come, invece, tanti pensano di dover fare o di dover per forza imporre.

Il primo passo per raggiungere tale obiettivo è il rilassamento. Le Asana dovrebbero, in forma teorica, portare tutta la muscolatura del corpo a questo.

Riuscire a portare il nostro corpo in questo stato attraverso il movimento e il controllo è complesso e faticoso. Pensate che solo nello stare in stazione eretta (Tadasana) almeno una ventina di muscoli si devono attivare in modo massiccio. Tutto il resto del corpo dovrà, di conseguenza, trovare compenso a questo. La capacità di sentire ogni singola porzione del nostro corpo cercando di capire “perché” accade un movimento e cosa questo modifichi in tutto il corpo ci porterà nel tempo ad una capacità, che come detto prima, andrà ben oltre il fare un “Asana” perfetta a livello visivo. Ci porterà ad una consapevolezza corporea che permetterà di utilizzare l’energia che questa attivazione muscolare provoca a scopo energetico globale, non solo dove si “sente” la tensione in modo massiccio, ma sulla totalità del nostro corpo.

Ogni volta che inizio un percorso di lavoro Hatha Yoga con un nuovo gruppo, le prime cose che mi vengono dette sono:…ma mi fa male la schiena a rimanere in questa posizione, oppure il collo, oppure una spalla, oppure….!

Le mie risposte sono e saranno sempre queste: se non vi sono patologie specifiche si tratta solo di una riattivazione neuromuscolare. Ogni muscolo sottoposto a stress si eccita, si contrae e dà un segnale. Il progetto è quello di arrivare a capire che si tratta di un segnale e non di un dolore. Ripeto: rimanendo sempre nell’ambito di una fisiologia assoluta e di una non patologia in corso.

Quando il nostro corpo inizia un’attività motoria dopo un periodo di inattività, si deve riorganizzare sotto tanti aspetti. I nostri muscoli, ricchi di recettori, ci daranno sempre dei segnali, dei campanelli di allarme. Questi segnali vengono inviati al cervello che, attraverso il sistema nervoso centrale, identifica, codifica e ci “dice” la cosa più semplice, quella che richiede meno consumo energetico: dolore = rifiuto del gesto = fuga.

Con questa riflessione, pensare che un Asana possa essere un’espressione corporea quotidiana risulta meno difficile, più comprensibile. Tutti i giorni stiamo in stazione eretta per almeno 4-6 ore. Il restante tempo lo passiamo in movimento, camminando, salendo e scendendo le scale, rimanendo seduti a lungo ed infine coricati. Cercare di ottimizzare ogni situazione a nostro favore, in modo attivo e non passivo, percependo, attraverso la conoscenza, cosa accadde, è il mio progetto.

La definizione di Asana data all’inizio, “SthiraSukham” (stabile e confortevole) si riferisce ad una pratica che influenza non solo l’ambito fisico ma anche quello psichico-mentale in quanto richiede una precisa condizione mentale e di conseguenza fisica con cui porsi in posizione.

Le fasi che ci portano verso la nostra Asana richiedono preparazione, cercano di raggiungere un rilassamento muscolare completo, un respiro profondo e regolare associato a un battito cardiaco naturale simile alla condizione di riposo, con una completa attenzione della mente, ferma e concentrata sul corpo e sul respiro.

Il testo di Patanjali contiene delle precise indicazioni riguardo alle modalità con cui realizzare le condizioni di “SthiraSukham” dell’Asana, e questo non si discosta da un ambito fisiologico, ambito che io prediligo:

“Rilassamento o riduzione dello sforzo e immedesimazione con l’infinito”
questa è la frase contenuta nei testi sacri.

Si può notare come siano due aspetti che non sono tanto valutabili dall’esterno, ma devono essere soprattutto oggetto della percezione consapevole e cognitiva di colui che pratica. Soltanto chi pratica può cogliere questa essenza ed è praticando che si affina, si fa crescere.

La riduzione dello sforzo durante la ricerca della statica o di un Asana nella sua fase finale, richiede una condizione di rilassamento molto importante, che passa attraverso una progressiva riduzione di ogni tensione o contrazione che non sia funzionale al mantenimento della posizione assunta.

Il mantenimento della statica dipende infatti dallo stabilirsi di un equilibrio tra le forze vettoriali  muscolari e legamentose nei confronti della forza di gravità. Tale equilibrio deve instaurarsi nel tempo utilizzando le fissazioni reciproche tra le diverse parti del corpo che, sistemate secondo ogni specifica Asana, potranno stabilizzarsi senza un impiego massivo di energia muscolare.

La stabilità nel tempo di questo equilibrio dipenderà in gran parte dall’azione di sistemi di regolazione posturale di tipo riflesso, che può realizzarsi in modo tanto più sottile e armonico quanto maggiore è il grado di rilassamento muscolare e respiratorio raggiunto.

La padronanza dell’Asana implica, quindi, una graduale riduzione dell’attività muscolare volontaria, quella impiegata per mantenere la posizione, che verrà nel tempo sostituita dall’utilizzo consapevole di tutti i meccanismi riflessi, fino ad una realizzazione dell’Asana che verrà mantenuta in modo quasi automatico, così come accade per la comune posizione eretta, seduta o flessa.

In questo senso va probabilmente interpretato l’invito di Patanjali a concentrare la mente sull’infinito, a ridurre sempre di più l’attenzione alla ricerca di un Asana perfetta.
Quella fin qui descritta si può considerare la direzione sulla quale sviluppare la pratica. La possibilità di realizzare questa progressiva riduzione dell’attività volontaria deriva dall’affinamento, dall’esercizio e, almeno in fase di apprendimento, dalla concentrazione intesa come atteggiamento di ascolto attivo a livello mentale e spesso passivo a livello muscolare.

Se le modalità di esecuzione della statica hanno come sviluppo le cose appena scritte, anche le fasi dinamiche necessarie a condurre il nostro corpo verso l’Asana dovranno avere un percorso chiaro e lineare; i movimenti saranno lenti, graduali, cognitivi e soprattutto pilotati dal nostro respiro. Questo permetterà di utilizzare il nostro sistema muscolare per far si che tutte le articolazioni e i segmenti ossei possano muoversi senza avere come dominante la contrazione muscolare che avviene a prescindere.

Nello sviluppo di ogni Asana è richiesta una capacità specifica sia sul piano fisico che su quello mentale. La pratica delle Asana rinforzerà il nostro corpo riducendo le tensioni e conducendoci ad un superamento dei conflitti, dei limiti.

I movimenti lenti, controllati abbinati alla respirazione corretta, porteranno la mente ad una maggior attenzione ed aumenteranno la concentrazione sull’azione, senza perdersi in distrazioni.

Quindi l’Asana va praticata e mantenuta con il minor sforzo possibile, tenendo decontratti tutti i muscoli che non intervengono direttamente nella postura e utilizzando il minor numero di fasce muscolari necessarie allo scopo di lasciar agire nella statica i sistemi di autoregolazione posturale.

Praticare Asana con atteggiamento competitivo non farà altro che provocare, laddove si vada oltre una soglia fisiologica, un potenziale rischio a livello articolare e muscolare.
Nei testi sacri non è prevista alcuna forma di controllo del respiro durante ogni espressione delle Asana, sia nella fase statica che in quella dinamica. L’unica indicazione è di lasciar fluire il respiro in modo spontaneo, facendo in modo che vi sia un’autoregolazione respiratoria in relazione alle esigenze del corpo.

Per come vivo io le Asana, con grande rispetto, correttezza e umiltà, mi discosto da questo principio. Partendo dal concetto che il respiro è vita e, come ogni cosa che abbiamo avuto dalla vita in forma gratuita, è bene imparare a conoscerlo e a saperlo gestire, coinvolgendolo in tutti gli aspetti della vita necessari.

Namaste
Gaetano Zanni

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