Durante lo scorso weekend di lezioni della formazione è uscita la parola ignoranza, contestualizzata nella pratica. Il termine dal latino ignorantia identifica chi ignora determinate cose per non averle mai prese in considerazione in modo consapevole o chi, per mancata istruzione non ne ha avuto accesso.
Vorrei qui dare una mia interpretazione di alcune fasi storiche che, se lette con atteggiamento costruttivo, ci posso essere d’aiuto per vivere un termine spesso visto come denigrante, facendolo nostro nella sua essenza.
In alcune espressioni del nostro italiano si possono trovare delle chiavi di lettura interessanti su cui poter riflettere: “la superbia è figlia dell’ignoranza” identificando chi, non conoscendo, pensa di avere risposta al tutto, oppure “beata ignoranza” (lo diceva anche Totò – Lei è ignorante? Bravo! – nel film Miseria e nobiltà, ironizzando su chi non aveva capacità di scrivere una lettera a suo nipote) identificando chi, non avendo mezzi di percezione attivi, può essere in uno stato di vita semplice, senza alcun pensiero o tormento di quel che accade intorno e al suo interno… uno stallo cognitivo, lo definisco io.
Facendo un salto nel passato, Socrate affermava: “so di non sapere”: il non sapere era ignoranza. Tutti viviamo quotidianamente esperienze pratiche di cui spesso non sappiamo nulla. Per esempio, è scontato il fatto che girando la chiave nel cruscotto dell’auto, questa si metta in moto, senza sapere tutto quello che accade perché possa avvenire.
Essere coscienti di non sapere, a mio avviso, è una grossa realizzazione del sé, una grossa identità, crea curiosità che è l’essenza della conoscenza. L’ignoranza o l’ignorare, in questo caso, rivestono una accezione positiva… ma sempre Socrate rincalzava dicendo “il male è generato dall’ignoranza” e qui l’ignoranza cambia ruolo, diventa un elemento negativo su cui poter riflettere: per esempio, la disinformazione online nell’era di Internet e dei social media, la diffusione di notizie false. Disinformazione e dogmi cresciuti in questi anni sono diventati un problema significativo e credo serio. Le persone spesso agiscono in base a informazioni errate, divulgate con ignoranza, che influenzano le loro decisioni e spesso anche quelle degli altri su questioni spesso molto importanti. Lo yoga ne è il teatro.
Nella Bhagavad Gita nei sutra IV,38-39-40 viene scritto – IV,38 “Non esiste infatti, quaggiù, uno strumento di purificazione che sia pari alla conoscenza”, dando una chiave di lettura in cui se non conosci non sei puro, dove la purezza è identità, chiarezza… Continuando sempre nello stesso sutra, si legge “chi trova la perfezione nello yoga, nel tempo la troverà nel Sé”, conferendo allo yoga “percepito” l’attribuzione di ciò che è indispensabile per vivere una vita nel proprio Sé.
Nel sutra successivo IV,39 viene scritto: “L’uomo che è pieno di fede, che ha la conoscenza come fine supremo e che ha il controllo dei sensi, la consegue e, avendo conseguito la conoscenza, raggiunge immediatamente la pace suprema”. Qui entrano in campo la fede e i sensi; la fede verso il supremo, che a ha varie identità e collocazioni; i sensi, qui definiti da controllare, ma che credo sia molto importante, conoscendoli, amplificare nella loro capacità intrinseca espressiva.
Sempre nella Gita nel sutra IV,40 viene scritto: “Colui che non sa, che è privo di fede, che ha il dubbio nel cuore, è perduto: né questo mondo, né l’altro, e neppure la felicità appartiene a chi ha il dubbio nel cuore. Questa è la conclusione di un percorso di percezione sensoriale del Sé, che attraverso lo yoga porta alla felicità vera, non effimera.
Il mio pensiero nasce perché, spesso, chi insegna yoga, ancora di più in una formazione credo debba avere la capacità di penetrare nell’anima degli allievi, esortandoli alla ricerca, allo studio, all’ascolto, al vedere oltre il visto, al contatto con tutto ciò che li circonda, dando come mezzo assoluto la conoscenza di tutti i sensi, cercando appunto di amplificare al massimo la loro capacità, senza mai avere delle certezze assolute e senza mai fermarsi a frasi fatte o dogmi contemporanei: Galimberti ha spesso affermato che “l’ignoranza si lascia affascinare dagli slogan”, e nello yoga contemporaneo ce ne sono molti.
Dopo questo viaggio storico, breve ma abbastanza identificativo, il mio pensiero è quello che potersi guardare allo specchio e dirsi e percepirsi consapevolmente “ignorante” sia davvero una grossa presa di coscienza e un’opportunità che ci può aiutare ad uscire da quello “stallo cognitivo” in cui spesso ci troviamo, cercando nella curiosità la conoscenza che, come spesso dico, migliora la pratica.
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