YOGA E RESILIENZA HANNO QUALCOSA IN COMUNE?
PUÒ ESISTERE QUESTA ANALOGIA?
PRATICARE YOGA CREA RESILIENZA?
Prendendo spunto da questo articolo che affronta il tema yoga e resilienza, mi è venuta voglia di approfondire l’argomento: ma procediamo per gradi.
Cosa si intende per resilienza?
Il termine resilienza identifica una capacità innata di ri-crearsi dopo essere stati abbattuti da eventi vari che nella vita possono accadere. Tutto nasce dallo stress e dalle sue innumerevoli manifestazioni e cause (quali infortuni, disordini fisici, eventi luttuosi , solo per citarne alcuni).
Esistono varie definizioni ed applicazioni del termine resilienza:
- Nel settore della metallurgia il termine “resilienza” indica la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate, sia meccaniche che di temperatura. Per un metallo la resilienza rappresenta il contrario della fragilità.
- In ambito ecologico il termine “resilienza” indica la velocità con cui una comunità (o un sistema ecologico) ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato. Le alterazioni possono essere causate sia da eventi naturali, sia da attività antropiche. Solitamente, la resilienza è direttamente proporzionale alla variabilità delle condizioni ambientali e alla frequenza di eventi catastrofici a cui si sono adattati una specie o un insieme di specie (fonte)
- A livello psicologico il termine “resilienza” indica la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontrano lungo il proprio cammino. Il verbo “persistere” indica l’idea di una motivazione che rimane salda. Di fatto l’individuo resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili: è un ottimista e tende a “leggere” gli eventi negativi come momentanei e circoscritti; ritiene di possedere un ampio margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda; è fortemente motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; tende a vedere i cambiamenti come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia; di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere comunque la speranza. La persona resiliente è l’opposto di una facilmente vulnerabile. (fonte)
- Inoltre, sempre a livello psicologico, lo stress causato provoca nelle persone resilienti una maggior capacità di ri-affrontare situazione stressanti.
La resilienza non è un’attitudine innata.
Non ci sono individui che la possiedono ed altri no. È un aspetto caratteriale, una sfumatura della personalità, atteggiamenti, riflessioni e azioni che tutte le persone possono imparare e incrementare. Sviluppare la resilienza si può, ma si tratta di un percorso personale, perché quello che per una persona può essere valido, per un’altra può non esserlo. Molto dipende dal tipo di reazione che le persone hanno di fronte alle avversità e soprattutto dai metodi che usano per aggirarle.
Le personalità resilienti.
Secondo uno studio fatto da Susanna Kobasa e Salvatore Maddi, psicologi dell’Università di Chicago, le persone che meglio riescono a fronteggiare le contrarietà della vita, quelle più resilienti appunto, mostrano contemporaneamente tre tratti di personalità ben definite:
- CAPACITÀ DI IMPEGNARSI
- CAPACITÀ DI UN OTTIMO CONTROLLO
- CAPACITÀ DI AFFRONTARE LE SFIDE
La CAPACITÀ DI IMPEGNARSI è la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività in modo cognitivo, con degli obiettivi ben precisi. La persona con questo tratto è propositiva, attiva, non è spaventata dalla fatica; non abbandona facilmente il campo; è attenta e vigile, ma non ansiosa, valuta le difficoltà realisticamente. Affronta ogni limite come un punto di partenza, non di stop. L’opposto di questa personalità è l’alienazione, il tagliarsi fuori dal resto del mondo.
La CAPACITÀ DI CONTROLLO è la capacità cognitiva di poter “dominare” in qualche modo ciò che si fa o le azioni che si intraprendono. La persona con questo tratto, per riuscire a valicare le diverse situazioni della vita, è pronta a modificare totalmente la strategia da adottare, in alcuni casi intervenendo con grande tempestività, in altri casi indietreggiando, prendendo tempo, aspettando. L’attesa non viene vissuta come una forma passiva, ma come una forma accrescitiva e formativa per aumentare la capacità di controllo. L’opposto di questa personalità è l’impotenza, intesa come percezione che sia qualcun altro a decidere per noi, di cui noi non abbiamo nessun controllo.
La CAPACITÀ DI AFFRONTARE LE SFIDE è la disposizione ad accettare i cambiamenti. La persona con questo tratto vede gli aspetti positivi delle trasformazioni e minimizza quelli negativi. Il cambiamento viene vissuto più come incentivo a crescere che come difficoltà da evitare a tutti i costi, e le sfide vengono considerate stimolanti piuttosto che minacciose. Vivere lo stress con questo tipo di approccio è in netto contrasto con l’approccio più comune, dove lo stress viene visto come una negatività assoluta, travolgente o addirittura paralizzante, che travolge piuttosto che motivare. L’opposto di questa personalità è la sicurezza che tutto sia sempre e comunque prevedibile, rimanendo sempre in una zona target di comfort.
IMPEGNO – CONTROLLO – SFIDA: sono tratti di personalità di cui si può avere consapevolezza e che, perciò, possono essere coltivati e incoraggiati.
Il filosofo Khalil Gibran ha scritto: “Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici”.
Impariamo a usare gli stress.
Quindi, facendo una sintesi: in teoria, ma non solo, avere degli “stress” che creano delle necessità provoca in noi delle forme di crescita verso una resilienza che può diventare uno stimolo molto forte e importante, ma che, allo stesso tempo, ha bisogno di cura e lavoro profondo per instaurarsi in modo corretto nel nostro sistema. Ovviamente, non possiamo augurarci di soffrire e non dobbiamo andare alla ricerca di eventi negativi per poterci rafforzare. Ma, come scriveva Hans Seyle nel libro “The stress of life”, “la caratteristica più preoccupante dello stress è la sua inevitabilità. Non è possibile impedire che piccoli o grandi eventi spiacevoli avvengano nella nostra vita”. Questa probabilità giustifica perciò un nostro sforzo di creare una base solida su cui poterci appoggiare nel caso in cui la vita ci offra una o più negatività.
Le risorse interne ed esterne a nostra disposizione.
Per sviluppare o potenziare la nostra resilienza e diventare capaci di adattarsi velocemente e positivamente agli eventi critici e stressanti della vita, occorre utilizzare al meglio le proprie risorse interne ed esterne, che sono:
RISORSE PERSONALI-FAMILIARI-SOCIALI
Se anziché concentrarci sui nostri limiti, ci concentriamo sulle potenzialità che abbiamo dentro di noi e sulle risorse esterne che abbiamo a disposizione, si innesca un circolo virtuoso che può esserci d’aiuto nei momenti di difficoltà.
RISORSE PERSONALI
La reazione a un evento critico è strettamente connessa alla valutazione che viene fatta precedentemente rispetto alla presenza o meno di risorse interne sufficienti per fronteggiare le richieste esterne. Il pensiero positivo, richiamante il concetto di ottimismo, rappresenta la tendenza a considerare la realtà sempre dal suo lato migliore. Avere un controllo sul momento che precede un evento stressante e, quindi, sui propri pensieri ed emozioni è un primo passaggio per accrescere la propria capacità resiliente.
Chi è poco resiliente tende a concentrarsi esclusivamente sull’evento stressante in sé, guardando solo l’aspetto negativo che solitamente è predominante perché doloroso e indesiderato. Spesso i comportamenti della persona poco resiliente vanno nella direzione di mantenere la propria condizione invariata, anche se negativa, perché ciò che si conosce, seppur difficile e poco desiderabile, è sempre meno pauroso di ciò che non si conosce. Alla base, quindi, di una persona poco resiliente, vi è, spesso, la paura di cambiare.
La persona resiliente è in grado di interpretare gli eventi critici in modo più flessibile e costruttivo. Riconosce, cioè, il potere destabilizzante degli eventi stressanti, ma li inserisce all’interno di un contesto più ampio che è fatto anche di capacità personali, risorse interne ed esterne. L’evento doloroso viene considerato come una sfida e viene, quindi, utilizzato come strumento di conoscenza di se stessi, dei propri limiti ma anche delle proprie capacità di riorganizzarsi e di “rialzarsi in piedi”. Chi è resiliente non teme il cambiamento, anzi lo considera come un’occasione importante per crescere e migliorarsi, per riorganizzare in termini positivi la propria esistenza.
RISORSE FAMILIARI
La persona resiliente non prende la forza solo da proprie capacità personali, ma è in grado di farsi sostenere anche da risorse presenti nell’ambito familiare. Cerca il confronto con i propri familiari, accetta il loro contributo o aiuto, ha fiducia nel loro sostegno. La famiglia, se non problematica, può offrire numerose opportunità di sostegno o stimolo per fronteggiare le difficoltà della vita. Numerosi sportivi ad elevati livelli, pur essendo cresciuti in situazioni familiari e sociali spesso patologiche, sono riusciti ad emergere e a far valere la loro capacità resiliente.
Occorre, però, stare attenti a non basarsi solo sulla famiglia: cercare l’appoggio o la comprensione dei propri cari, per evitare di trovare autonomamente delle risposte personali alle proprie difficoltà, rappresenta una strategia disfunzionale per affrontare gli eventi critici della vita.
RISORSE SOCIALI
La persona resiliente riesce a considerare come risorsa utile a se stessa anche le persone appartenenti al proprio ambiente sociale, per esempio gli amici, i compagni di lavoro e perfino gli esperti come lo psicologo o con chi si possa trovare un contradditorio costruttivo. Cerca il confronto con loro, accetta il loro contributo o aiuto, ha fiducia nel loro sostegno ma non si appoggia a loro completamente.
Ancora una volta, pero’, cercare solo l’appoggio o la comprensione dei propri amici o conoscenti, per evitare di trovare autonomamente delle risposte personali alle proprie difficoltà, può rappresentare una strategia disfunzionale per affrontare gli eventi critici della vita. (fonte)
Cosa c’entra lo yoga con la resilienza?
Il mio pensiero rispetto ai quesiti posti all’inizio è che PRATICANDO YOGA SI DIVENTA RESILIENTI. Ognuno di noi ha una sua risorsa interna molto profonda che è quella dell’ascolto silente e non giudicante, cosa che nessuno ci ha mai insegnato in modo assoluto. Sentiamo il nostro corpo e lo spazio che occupa solo quando ci dà dei chiari segnali di disagio o dolore, solo allora ci rendiamo conto di quanto tutto sia necessario per il tutto.
- IMPEGNO nel praticare dando tempo, pazienza e attenzione allo pratica
- CONTROLLO nel sentire e percepire ogni piccola variabile che nel nostro corpo si instaura durante la pratica
- SFIDA nel dar modo al nostro corpo di cambiare la sua Forma-Funzione-Funzionamento
La pratica dello yoga è ormai pacificamente considerata come un ausilio “terapeutico”: numerosi studi clinici lo evidenziano.
Se dobbiamo definire il termine terapia o terapeutico in modo sintetico troviamo varie definizioni interessanti, ma quasi tutte sono finalizzate alla soppressione sintomatica del disturbo: attraverso l’utilizzo di farmaci, terapie elettromedicali ecc, tutti strumenti validi ed efficaci, alle volte anche indispensabili.
Nella pratica dello yoga si è alla ricerca del “sintomo”, del “risveglio”, del “sentire”: “non sentivo di avere una rigidità così forte al collo, ora la sento e mi da fastidio, è normale?” spesso mi chiedono…
Questo a mio parere è diventare resilienti: dando tempo al nostro corpo di poter parlare, di potersi esprimere, ascoltandolo in modo non giudicante ma cognitivo.
Gaetano Zanni (appunti di viaggio)
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