Il titolo del post “meditare nel caos” vuole essere una provocazione rispetto a chi crede, per un indotto errato, che per poter meditare occorra un luogo specifico, creato a regola d’arte.
Qualche anno fa in un mio viaggio in India mi ritrovai dentro ad un taxi a Delhi, e solo chi è stato in quella città sa il caos che possa esserci, il frastuono, suoni, clacson e migliaia di persone in continuo ed incessante movimento. Scambiando qualche chiacchera con la nostra guida ci scoprimmo entrambi insegnanti di yoga anche se lui praticava solo nidra yoga e meditazione Vipassana. Parlando del più e del meno ad un certo punto della conversazione gli chiesi quando e come riusciva a trovare il tempo per fare pratica, visto il caos e i tempi di percorrenza da un capo all’altro della città, la sua risposta fu…io mentre parlo con te sto meditando cercando di eludere il tutto attorno a me, per farlo confluire solo su questo preciso momento, tu non lo fai mi chiese?
Rimasi senza parole e da allora in poi cominciai a farmi qualche domanda rispetto alla meditazione.
Scrissi già un post relativamente alla meditazione e al suo ruolo a livello scientifico, ma ora mi piaceva scrivere il mio pensiero rispetto a questa pratica che ora tanto va di moda, ricordando innanzitutto che alcune teorie e studi fanno risalire l’origine della meditazione a circa 5.000 anni fa, ai Veda, antichi testi di cultura indiana. Quindi spesso nulla si scopre ma semplicemente si evidenzia.
Di sovente a lezione mi capita di parlare di meditazione e di come si possa farlo anche durante una pratica yoga. Spesso vedo occhi increduli e le domande più ricorrenti che mi vengono fatte sono queste:
- · Come faccio a sentire il presente, ad afferrare l’istante, a essere qui e ora. Esiste qualche metodo per farlo?
- · Come faccio nella mia giornata, che spesso è frenetica, ad inserirla, non trovo il tempo per fermarmi. Come posso fare?
- · Come faccio a raggiungere uno stato di immobilità tale da non sfuggire da me stesso, permettendomi di lasciare fuori il resto?
- · Come faccio a meditare quando mi trovo “dentro” ad un asana? Il fastidio che la stessa mi provoca mi porta fuori dal concentrarmi sulle mie percezioni corporee. Come posso fare?
Come faccio, come posso fare?
Le risposte credo siano davanti a noi. La vita è movimento non staticità, è dinamismo e ritmo innanzitutto. Il ritmo della vita presiede ad una nostra volontà assoluta ma lo si può imparare a gestire, si può cercare di vedere oltre il visibile, sentire oltre il percepibile. Se percepisci la vita come un dinamismo assoluto e ricco di tutto, solo allora potrai sentire e godere al pieno del silenzio e della tua immobilità. Solo allora potrai meditare in mezzo al mondo in cui vivi e non cercare solamente uno spazio silente dove farlo.
Se riesci a rimanere in uno stato “presunto” di immobilità sia essa fisica che mentale, sarai rigettato verso te stesso, il tuo stato di attenzione, invece di perdersi verso l’esterno identificandosi con tutti gli oggetti eventi e sentimenti che non ti appartengono in modo assoluto, sarà rivolto verso il tuo interno.
Se poni l’attenzione sul fermarsi, tutto ciò che avrai intorno non subirà modifiche sostanziali in modo oggettivo, ma in modo soggettivo lo percepirai come un qualcosa che esiste a prescindere, dandoti modo di esplorarlo e sentirlo in modo diverso, più pieno. Vivere il silenzio anche in mezzo al frastuono è un ulteriore scopo del meditare e per questo di certo non occorre essere seduti con le gambe incrociate e con un incenso che brucia.
La meditazione è anche questo, fermarsi a prescindere, fare un passo indietro nel mondo in cui si vive ma che spesso non si percepisce. Quando durante una pratica di yoga si chiede un’attenzione particolare ad un qualcosa che fino ad allora non si conosceva in modo così dettagliato, spesso ci si ferma solo sull’esecuzione e non sulla percezione dello stesso, andare verso la percezione a mio parere equivale a meditare. Tutto molto complesso ma assolutamente fattibile.
Quindi?
Quindi si parla tanto di meditazione in questo ultimi anni, esistono molte tecniche, metodi, filosofie di approccio meditativo, però credo che ognuno di noi se solo potesse soffermarsi un attimo sull’attenzione del percepito avrebbe già fatto un passo verso il “progetto” meditativo. La meditazione avviene spontaneamente, come il respiro, molte volte non si pensa di attuarla, mentre invece questa avviene. Pensate per esempio il soffermarsi sul guardare un qualcosa che ci colpisce in modo particolare sia esso naturale che costruito, non pensate che questo possa già essere meditare?
Tutti in modo inconsapevole stiamo meditando, dobbiamo solo affinare il tutto donandoci del tempo per poterlo fare.
Ma questo è solamente un mio pensiero.
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Bellissima riflessione!
Una prima sensazione che ho avuto è quella di rassegnazione di fronte all’idea che il caos è diventato “la normalità” del nostro quotidiano. Ma poi cerco di aggiungere un’altra variabile: la dinamicità, ed ecco che il caos diventa una materia informe in piena evoluzione che attende solo un principio di ordine per poter generare qualcosa di nuovo. Forse la meditazione può aiutarci proprio a percepire e a scoprire il nostro senso di “ordine” che ci permette di rigenerarci e creare anche dal caos. Quindi se è vero che il nostro quotidiano è cambiato, forse dobbiamo plasmare anche i nostri modelli di riferimento partendo proprio dalle nostre percezioni. Del resto l’evoluzione ci insegna che la specie che sopravvive è quella più ricettiva ai cambiamenti.
Ho concluso la mia lettura rifiutando il senso di rassegnazione, confidando nell’inesauribile ispirazione che la vita in movimento ci offre e che purtroppo non siamo più abituati ad ascoltare!
Grazie Ulpiana del tuo commento. Credo proprio che la nostra difficoltà sia, come dici tu, quella di poter credere che anche nel caos ci si possa rigenerare. Ascoltare il nostro corpo e ciò che ci lancia come segnale indicatore, potrebbe liberarci da tutte queste costrizione che nel tempo ci siamo creati.
Grazie Gaetano e Ulpiana. Anch’io mi ritrovo spesso a pensare che sia sempre più complicato trovare “pace”.
Per usare le vostre belle parole, certamente la vita è trasformazione, dinamismo, ritmo, perfino caos.
Ma è altrettanto certo che non è la vita in sé a costringerci e a limitarci (quando non ad abbatterci) ma il giudizio che ne abbiamo, il nostro modo di pensarla e di guardarla (Marco Aurelio diceva una cosa molto bella e profonda: “Il mondo è trasformazione; la vita opinione”). Per cui è vero quello che Gaetano dice riguardo il “vivere il silenzio anche in mezzo al frastuono”: non è infatti questione di più o meno rumore ma di cambiare il nostro sguardo “facendo un passo indietro”.
Poi come questo cambiamento, questo distacco, possa avvenire in pratica è tutto da scoprire e da sperimentare (anche grazie alla pratica yogica).
Grazie Paolo della tua riflessione, d’accordissimo con te sulle nostre responsabilità e sui nostri pregiudizi rispetto la vita che pensiamo di vivere. Trovare “pace” come dici tu non è cosa semplice, nulla credo sia semplice finchè lo si considera tale, provare e cercare di andare oltre ai nostri schemi forse ci potrà aiutare. Citando frasi storiche, Mao Tse Tung diceva:
Un lungo cammino,inizia sempre con un piccolo passo. Aggiungo io…basta però iniziarlo!
Grazie del confronto! Complicato…
Provo a partire dal concetto che tutte e tre condividiamo ma che allo tesso tempo vediamo da prospettive diverse: la necessità di cambiare.
Semplifico (correggetemi se sbaglio), per Paolo questo cambiamento deve avvenire attraverso un processo di ricerca che influenzi e modifichi la visione stessa che abbiamo della nostra vita. E questo processo può attingere dagli strumenti che la pratica yogica offre.
Per Gaetano il cambiamento è intrinseco in tutto quello che accade e di conseguenza la necessità di meditare per ritrovare un equilibrio è imprescindibile. Diventa quindi fondamentale metterla in atto abbattendo i nostri schemi siano quelli legati alla visione che abbiamo sulla vita sia sul nostro modo di vivere.
Per me invece il cambiamento deve essere funzionale alla vita intensa nel suo senso biologico ovvero di una costituzione di sistemi, capace di mantenersi in una situazione di equilibrio dinamico. In questo senso la capacità di sviluppo, di autoregolazione, di metabolizzazione, di reattività, di riproduzione ecc., è già li… dobbiamo solo ascoltarlo, scoprirlo!
Il comune denominatore che abbiamo quindi è quello di un cambiamento radicale, profondo ma consapevole che in tutte e tre i casi deve partire da noi e dalla nostra capacità di meditare.
E pensare che abbiamo valutato solo la dinamicità come variabile… se consideriamo che viviamo in una rete di relazioni che ci influenzano profondamente e che a nostra volta influenziamo, la complessità aumenta 🙂
Grazie Ulpiana della tua precisazione, io penso che, in modi diversi di espressione, tutti si volesse scrivere e significare la stessa cosa. Fermo restando che credo, anzi ne sono certo, ogni espressione debba essere in ogni caso amalgamata con le altre, per poter creare un giusto equilibrio nei confronti della ricerca. Il nostro corpo nel microcosmo in cui vive è abbastanza autonomo, noi con lo yoga e la meditazione cerchiamo solo di dargli una mano.
Il tutto è in sintonia con le reti di relazione che citi in coda, il corpo è una fitta rete di sistemi che vivono in simbiosi, alle volte si è dominati alle volte si può cercare di andare oltre la passività cercando di risvegliare molti sistemi che per convenienza autonoma sono sopiti. Quello che accade all’interno nel nostro corpo, accade anche all’esterno 😉