La mia passione per l’anatomia e lo yoga, che mi accompagna da diversi anni, ha suscitato in me alcuni quesiti: come si può arrivare a pensare e a scrivere, che lo Yoga può far male? perché la pratica dello yoga è arrivata ad essere definita anche pericolosa? e perché spesso lo diventa?
Penso che i motivi siano spesso legati al volere per forza presentare lo yoga in due modi. O sotto un punto di vista puramente filosofico, attenendosi a dei rituali che spesso non tutti sono in grado di gestire a livello corporeo e mentale. Oppure sotto l’aspetto semplicemente fisico, diventando dei simil acrobati, senza rispettare nulla di quello che il nostro corpo necessita per non farsi male e dimenticandoci della vera essenza dello yoga che è quella di UNIRE.
Lo yoga e il rispetto del corpo.
Sono convinto che la pratica yoga debba avere come base il buon senso del momento giusto dell’applicazione della stessa, senza vivere con i paraocchi o con “è così che si deve fare”.
Tralasciando il tema filosofico, che credo assolutamente dominante e necessario per praticare yoga, ritengo sia importante e imprescindibile una buona conoscenza dell’aspetto anatomico e funzionale del nostro corpo. Quest’ultimo viene spesso trascurato e proposto in modo approssimativo, avvalendosi, a volte, di conoscenze prive di fondamento o non specifiche per la pratica dello yoga.
Il giusto equilibrio.
Credo che debba esistere un giusto EQUILIBRIO tra i millenni di storia dello yoga e la fisiologia cognitiva del nostro corpo, altrimenti il “qui e ora” non potrà mai esserci. E per fare questo occorrono anni di conoscenza e percezione corporea.
Il nostro modo di vivere “evoluto” non può far altro che portarci a carichi e vizi posturali abnormi, a velocità di espressione corporea spesso oltre la fisiologia, al fare piuttosto che al percepire. Lo yoga nella sua completezza dovrebbe ridurre o almeno educare questo, facendoci percepire il nostro corpo a prescindere, evitando, parlando di forme imposte, di provocare ulteriori stress negativi al nostro corpo per esempio attraverso l’imposizione di forme (asana) costrette, senza approfondirne i fondamenti e le motivazioni, ma fermandosi solo al primo livello di conoscenza.
Non si può costringere una persona a rimanere ore in posizione Padmasana solo perché è così che si deve essere posti per poter meditare. Chi lo dice? I testi sacri e i vari sutra? Perfetto! A mio parere dobbiamo capire che ora siamo qui e non possiamo emulare nulla se non capendo cosa, per esempio nel caso del Padmasana, possa accadere alle nostre ginocchia a rimanere in una posizione che provoca delle forze di taglio molto elevate a livello delle articolazioni e delle cartilagini, soprattutto a chi ha già un pregresso traumatico.
La conoscenza del proprio corpo.
Spesso si tende a forzare il nostro corpo oltre un reale limite fisiologico, senza avere conoscenza degli effettivi danni che si possono provocare. Si spinge l’allievo a cercare capacità oltre una propria reale potenzialità, semplicemente perché non si conosce e non si educa a una giusta conoscenza della fisiologia e anatomia del corpo. Può accadere che, essendo noi in grado di farlo, diamo per scontato che tutti lo possano fare, per cui tutti lo devono fare. Anche nell’applicazione delle sequenze: sono codificate così e quindi o “segui la sequenza oppure sei fuori”.
Non dimentichiamoci che ogni corpo è un corpo a sé, con un suo storico vissuto, traumatico, emotivo, anatomico e come tale andrebbe rispettato e fatto percepire ad ogni allievo.
Yoga non è solo fare asana, ma è ben altro.
È conoscenza del nostro corpo e dei segnali che spesso ci invia, come per esempio il “dolore”.
È sentire che abbiamo la capacità di controllo del nostro corpo sotto tanti aspetti.
È avere la possibilità di vedere un nostro limite come un punto di partenza e non come un punto di arrivo.
Yoga e anatomia in parallelo.
Durante i miei anni di pratica e studio yogico, in parallelo allo studio e alla pratica osteopatica, ho visto come le due dimensioni siano affini in modo quasi assoluto. La capacità che ho maturato da osteopata, attraverso le conoscenze e lo studio, di creare stimoli atti a ristabilire un equilibrio distrettuale ma che diventa immediatamente globale, è la stessa che, in modo attivo, posso attuare su me stesso attraverso la pratica yogica.
Questo avviene su più piani:
- Biomeccanico articolare: parlando di fisiologia e anatomia non vi è asana in torsione, rotazione, flesso estensione che non rispetti in modo quasi religioso queste principi.
- Muscolare: in ogni asana esiste una “perfezione fisiologica propria”, e qui cerco di spiegarmi meglio: nel 46° Sutra di Patanjali, lo stesso definisce asana come sthirasukham, che significa posizione stabile e confortevole da poter mantenere a lungo, originariamente in sanscrito: sthira (stabilità) sukham (facilità), quindi la capacità di trovare in base al proprio bagaglio corporeo la propria asana e il proprio balance point, quindi NO ALLINEAMENTI assoluti ma capacità di trasmettere la conoscenza corporea in modo da creare un percezione della stessa.
- Respiratorio: e qui si entra in un mondo ampio e ricco di intrecci: il respiro come conduttore di un movimento energetico e pranico che aziona tutto il resto del corpo, a livello di scambi gassosi, di stimoli viscerali, di capacità di attivazioni neurologiche e neuromotorie molto elevate.
- Fludifico: come con la pratica yoga si possa ri-equilibrare ogni elemento fluido all’interno del mio corpo; sangue – linfa per citarne alcuni.
Da qui nasce un ragionamento sul concetto di adattamento e di capacità di poter modificare la nostra forma per far sì questa si possa adattare alla funzione e al suo relativo funzionamento sentitomi dire per anni dai miei docenti osteopatici, che mi ha portato a vedere e sentire la pratica yoga come parallela a quella dell’osteopatia.
L’osteopata cerca in modo manuale di “correggere”, stimolando il corpo da una sua disfunzione o anomalia; lo yoga fa la stessa identica cosa. L’unica differenza è che è la persona a farlo, attraverso la conoscenza e la consapevolezza del proprio corpo, conoscenza e consapevolezza che devono essere infuse all’allievo in modo globale.
Tutto questo per dire che con la pratica yoga, avendo cura di conoscere il proprio corpo e di rispettarlo, non potremo mai farci del male e nemmeno arrivare a pensare che sia una pratica acrobatica o solo spirituale. Capiremo, invece, come possa davvero diventare un’esperienza che ci permette semplicemente di essere!
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